sabato 11 febbraio 2012

Pelle




C'eri una volta, uomo.
Fin da quand'eri scimmia c'eri.
Nascosto sotto il folto pelo il tuo ingegno
ti ha permesso di crescere umano.
E sempre più distante dal ricordo animale ti lustri e ti lisci
per non rassomigliare più a te stesso.

C'eri una volta uomo,
con le unghie sporche di terra
e gli occhi che tendevano alla conoscenza.

Cosa sei ora? Uomo non più.
La tua pelle é pergamena dalla quale
cancelli ogni giorno la scienza.
E beffa della natura, ti bruci
al finto sole seminando denaro
e coltivi un'inutile forza come un tempo facevi col grano.

Dov'é il tuo ardore, uomo?
Dov'é la meravigliosa mente che ti ha guidato fin qui?
Non sei più parte della terra che abiti.
Non sei più parte della pelle che abiti.
Non sei più.
Uomo.

4 commenti:

  1. Fa riflettere la tua poesia! Non più uomo alla ricerca della conoscenza, ma vanità alla ricerca dello sperpero....Brava!

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  2. Certo che con quelle foto non ci resta molto dell'uomo....

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  3. Beeeeella questa poesia, anche se non sono molto convinta che siamo lontani dal nostro ricordo animale...

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    1. In effetti a volte siamo più animali degli animali stessi :)

      La distanza dal mondo animale di cui parlo è più un'assenza della voglia di vivere, ma di vivere veramente, di vivere in quei grandi sentimenti della storia moderna. Quella voglia di vivere propria dei partigiani, o anche dei risorgimentali.
      Ora c'è più la tendenza alla ricerca del proprio benessere, del piacere estetico. L'estetica però che esula dall'arte.

      L'ho scritta nel treno Milano-Venezia, mi ha colpito il paesaggio padano, dove l'uomo parrebbe schiacciare la terra dalla quale proviene. Pare che abbia in qualche modo piantato delle sanguisughe giganti per trarre tutto ciò che c'è di buono, e come se non bastasse, sputandone gli scarti nocivi nelle "chiare, fresche et dolci acque" de 'na volta.

      L'ho scritta anche per una ricerca che sto facendo con un'amica sul concetto di pelle e su cosa significhi, anche nella contemporaneità. Come sia non solo "superficiale", e dunque in qualche modo portatrice di superficialità, ma anche profondamente legata alla storia del genere umano, e della propria. E si sa, eliminare le rughe, le cicatrici, le imperfezioni in generale, è una pratica estetica diffusissima, ma che in qualche modo cancella la propria vita passata o il proprio modo di essere. Inoltre questa "assoluta perfezione" parrebbe mirare a riportare ad uno stato primordiale, quasi fetale, della pelle, perdendo secondo me il valore più bello che possa trasmettere la nostra intera superficie: la memoria.

      [Anche Leopardi era visto come pessimista e poi alla fine c'aveva ragione, io Leopardi non sono proprio, ma neanche pessimista :D]

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